1° INCONTRO ORGANIZZATO DALL’A.N.P.I. DI TARANTO CON GLI STUDENTI

15 Novembre 2012 Lascia un commento »




PRESSO IL LICEO LINGUISTICO  “ARISTOSSENO”

TARANTO  29/09/2012

ORE 10.00 – 12.30


 La mia infanzia è stata molto diversa dalla vostra. Sono nata durante la dittatura fascista. Allora non c’era  libertà di parola, non si poteva dire e scrivere quello che si pensava ma tutto era vagliato dalla censura e, per una parola o un gesto, che poteva essere interpretato come ostile al Regime, si poteva essere arrestati o inviati al confino. Il confino era un luogo lontano, spesso un’isola, come Lipari o Ponza, allora poco frequentate, dove si viveva isolati e continuamente sorvegliati. Molti antifascisti finirono lì fra cui Carlo Levi, pittore e scrittore che scrisse un bellissimo libro sulla sua permanenza in Lucania “Cristo si è fermato a Eboli” da cui Francesco Rosi ha tratto un film. Anche i cugini di mia madre, Carlo e Nello Rosselli, furono prima esiliati l’uno a Lipari, l’altro a Ustica, poi i due fratelli furono assassinati in Francia su ordine di Mussolini nel giugno del 1937.

Nel 1938 Mussolini promulgò le “Leggi razziali” che proibivano agli ebrei di avere impieghi pubblici, di esercitare certi mestieri, li privavano dei loro beni e limitavono i loro spostamenti. Mio padre, che insegnava all’Università di Bologna, perse il posto e si trovò in gravi difficoltà, dovette insegnare in un istituto privato e non poté più pubblicare libri o articoli. Ricordo che la mamma, per sbarcare il lunario, vendeva la biancheria e le poche cose d’argento che ci rimanevano. Non avevamo niente e, per comprarmi un paio di scarpe, visto che crescevo, lei dovette vendere la catenina d’oro che portava sempre al collo.

Poi le cose peggiorarono ancora. Dopo l’8 settembre 1943, i Tedeschi occuparono l’Italia;   imponevano le loro leggi, del tutto arbitrarie, saccheggiavano e rubavano e la popolazione  pativa la fame. Inoltre, fucilavano sui due piedi tutti coloro che pensavano gli fossero ostili. Poi c’erano le rappresaglie, cioè se veniva ucciso un tedesco, loro prendevano 10, 100 civili innocenti e li massacravano: fu così nel marzo 1944. Ci fu un attentato perpetrato dai partigiani a Roma in via Rasella nel quale perirono 33 soldati tedeschi. Il giorno dopo, 335 persone vennero prese e uccise alle Fosse Ardeatine e, se visitate a Roma il museo, vedete che ci sono donne e bambini; io fui particolarmente colpita dal nome di un vecchio e di un bambino, nonno e nipotino che passeggiavano insieme e che ebbero la sfortuna di cadere in una retata. Ma ci furono molte altre stragi: nel giugno 44 furono uccise a Civitella, un paesino nella provincia di Arezzo, 244 persone e il 12 agosto 1944, in seguito a uno scontro con i partigiani, 560 persone, donne, vecchi e bambini vennero trucidati in Versilia a Sant’Anna di Stazzema. Anche a Matera, ci fu una strage nazista. Fu compiuta durante l’insurrezione della città avvenuta il 21 settembre 1943 e persero la vita 24 persone di cui 16 cittadini materani. Matera fu la prima città del Mezzogiorno a insorgere contro il nazifascismo.

A Firenze, dove noi ci eravamo rifugiati subivamo i bombardamenti degli Alleati che volevano colpire i Tedeschi, ma troppo spesso colpivano dei civili innocenti. Bastava uscire per strada per vedere della gente morire e quando tornavo a casa la sera, dopo essere stata a giocare ai giardini pubblici, non sapevo mai se l’indomani i miei compagni di giochi sarebbero stati ancora vivi.

 Noi ci eravamo nascosti in casa di amici sotto falso nome: appunto Serpino ed ecco perchè ho intitolato il mio libro “Il nome delle Serpi”. Eravamo nascosti per una doppia ragione perchè mio padre faceva parte della Resistenza, cioè non accettava che il suo paese fosse al servizio di un regime totalitario e ingiusto e militava per la giustizia e la libertà e anche per le nostre origini ebraiche (i tedeschi odiavano gli ebrei e non si limitavano a escluderli come in Italia, ma volevano distruggerli tutti e li mandavano nei campi di concentramento in Germania o in Polonia dove venivano messi in delle camere a gas e eliminati così) Però a loro non glielo dicevano, li spogliavano, li rinchiudevano nudi in uno stanzone facendogli credere che facevano una doccia, ma invece di acqua dalla bocchetta usciva un gas mortale.

Mio padre, nel 1947, faceva parte di una delegazione italiana invitata in Polonia e fu condotto ad Auschwitz. Ed ecco la sua descrizione:

“Sono entrato passando sotto un arco di frasche e ho proseguito  per un viale fiancheggiato da una siepe di sempreverdi. Il viale era coperto da una ghiaia strana, molto minuta di colore bianco-marmo. Mi chinai per raccattarla perché mi pareva improbabile che in una pianura così piatta si potesse trovare del marmo. Ma erano ossa, frammenti minuti di ossa umane. Sono entrato nel recinto interno, ho visto i forni crematori, le camere a gas, i dormitori. E poi ho visto i magazzini. In una stanza imbiancata a calce vi erano ammonticchiate molte balle chiuse da lenzuoli bianchi. E dai fori dei lenzuoli, tra le cuciture di essi uscivano qua e là dei capelli; capelli bianchi e castani e neri di bimbi e di donne uccisi. I capelli bianchi non sono pregiati. E ho visto ad Auschwitz un’altra stanza ugualmente candida una stanza piena di giocattoli, i giocattoli con i quali i bimbi erano entrati nelle camere a gas.

Durante questo periodo di occupazione tedesca di Firenze, la mia mamma, che aveva circa 40 anni, ha tenuto un diario nel quale faceva un resoconto della nostra vita quotidiana; la mia nonna, che all’epoca aveva circa 70 anni, riuscì a passare in Svizzera e ha raccontato la sua avventura in poche pagine.

Io avevo solo 7 anni ma quegli avvenimenti mi sono rimasti così impressi che, da adulta, ho voluto rievocarli in un libro per far conoscere la particolarità di quello che avevo vissuto. Avevo anche un altro scopo e cioè volevo metter in evidenza il divario che esiste fra il vissuto di un adulto e quello di un bambino. Le situazioni sono viste con un occhio diverso e le sofferenze non sono le stesse:  ciò che sembra tragico ad un adulto può lasciare indifferente un bambino e viceversa.

Infine vorrei dirvi che quei tempi non si sono evoluti: certo le discriminazioni contro gli ebrei non ci sono più, ma purtroppo ce ne sono altre e bisogna che voi ragazzi siate vigili; bisogna sempre opporsi all’ingiustizia, alle discriminazioni, lottare per mantenere libertà e dignità sia per noi stessi che per il nostro prossimo perché perseguitando colui che ci appare diverso, umiliamo noi stessi e perdiamo la nostra parte di umanità.

Valentina Supino

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