Un’originale interpretazione collocata sia nello scenario nazionale sia in quello internazionale, si ritrova nell’ultimo libro di Giovanni Orsina “Il berlusconismo nella storia d’Italia” (Marsilio editore).
In estrema sintesi, il ragionamento di Orsina è il seguente. Sin dall’Unità nazionale del 1861, l’Italia ha dovuto misurarsi con il problema della divisione tra Paese legale e Paese reale, a causa della scarsa fiducia reciproca tra governanti e governati:i primi, considerando la società italiana arretrata e frenata da chiusure localistiche, corporative, familistiche; i secondi, nutrendo diffidenza e avversione verso lo Stato, la politica, la burocrazia pubblica. A questa separazione-incomprensione, le classi dirigenti hanno cercato di sopperire con un approccio, che Orsina definisce ortopedico e pedagogico: ortopedico, perché occorreva “raddrizzare” ciò che era storto; pedagogico, perché occorreva “rieducare” ciò che era sbagliato. Pur con le inevitabili differenze, l’approccio ortopedico e pedagogico ha accomunato la classe dirigente liberale, fascista e quella repubblicana, senza tuttavia incidere più di tanto sul divario tra Paese reale e Paese legale. Questo non significa che non ci siano state stagioni positive, come, ad esempio, l’età giolittiana o la prima fase della vicenda repubblicana.
Come si inserisce il movimento berlusconiano in questo percorso storico? Esso rappresenta una evidente rottura con l’approccio precedente, dal momento che, sin dalla “discesa in campo”, Berlusconi afferma che la società civile italiana non ha bisogno di essere né raddrizzata né rieducata, che va bene così com’è; che, semmai, è la politica ad avere responsabilità per la scarsa fiducia verso di essa. Berlusconi, quindi, coltiva abilmente l’antipolitica, l’ipopolitica, il rifiuto della politica dei partiti e dell’antifascismo; interpreta l’aspirazione ad uno stato leggero e non intrusivo.
Questa impostazione, da un lato entrava in sintonia con un clima generale dell’epoca, dominata dal neoliberismo della Thatcher e di Reagan; dall’altro, faceva leva sui sentimenti profondi della destra italiana: l’Uomo Qualunque di Giannini, il più diretto precursore del berlusconismo, o quella destra che in precedenza votava a malincuore per la DC, magari turandosi il naso, come suggeriva Indro Montanelli. Berlusconi così riscattava la destra italiana dalla minorità in cui era stata relegata nella prima stagione repubblicana; ne assecondava le pulsioni, non pretendeva di correggere i difetti degli italiani, che venivano accettati come erano. In tal modo, prendeva forma un impasto di liberalismo e di populismo, in cui però il primo elemento perdeva progressivamente di peso, a favore del secondo. Il ruolo personale di Berlusconi ha sempre prevalso sul partito in quanto tale, che continua ad essere un partito personale, patrimoniale, carismatico; assolutamente irriducibile ai modelli della destra europea.
Per esaminare la parabola del berlusconismo, occorre ora soffermarsi sulla dialettica Platone- Popper, che Orsina richiama all’inizio della sua analisi. Se Platone si era posto il tema di chi dovesse governare, Popper ritiene che la domanda giusta sia un’altra: come organizzare le istituzioni in modo che i cattivi governanti non facciano troppi danni e possano essere sostituiti in modo pacifico. Nella politica italiana, tuttavia, la domanda platonica ha prevalso di gran lunga sulla domanda popperiana. In altre parole, si è sostenuto che la propria elite fosse assolutamente in grado di governare bene, meglio dell’elite precedente, senza preoccuparsi adeguatamente di riformare lo Stato per accrescere funzionalità e partecipazione democratica. La parabola berlusconiana parte dalla dichiarazione di voler riformare profondamente lo Stato secondo un approccio liberale: stato leggero, riduzione dei parlamentari, abolizione delle province, riduzione delle tasse e della spesa pubblica. Al tramonto della stagione berlusconiana, il bilancio appare fallimentare; nessuno di tali obiettivi è stato raggiunto e il berlusconismo ha ripiegato sulla mera occupazione del potere.
Con le elezioni dello scorso febbraio, anche un lascito positivo del berlusconismo (in comune con il centro-sinistra) e cioè la democrazia bipolare pare andato disperso. La netta affermazione del Movimento 5 stelle disegna un assetto tripolare, difficilmente superabile nel breve periodo. Il grillismo, come il berlusconismo delle origini, nasce come forte reazione alla politica esistente, ma approda a conclusioni opposte : la democrazia diretta attraverso la rete. Un esito difficilmente prevedibile, che nell’immediato esclude il Movimento 5 stelle da ogni rapporto con le altre forze politiche.
Un aspetto non sufficientemente approfondito, a mio parere, è la questione delle vicende giudiziarie di Berlusconi e di come sia stato possibile manipolare la legislazione italiana con le norme “ad personam”, adottare modelli di comportamento tanto biasimati all’estero quanto accettati in Italia. Ciò non toglie nulla all’interpretazione acuta e originale, largamente condivisibile, del lavoro di Orsina. Giovanni Battafarano