Guasto è il mondo di Tony Yudt

4 Novembre 2014 Lascia un commento »

 

Recensione di Giovanni Battafarano

Se coloro che, a vario titolo e vario livello, si occupano di politica leggeranno il libro di Tony Judt e, naturalmente, cercheranno di tenerne conto nell’attività pratica, la politica, oggi in grav

e deficit di crediblità, potrà cominciare una lenta risalita.
Il titolo del libro ( Editori Laterza, 2010) prende spunto dai versi dello scrittore irlandese settecentesco Oliver Goldsmith : ” Guasto è il mondo, preda di mali che si susseguono, dove la ricchezza si accumula e gli uomini vanno in rovina”. Tony Judt, di origini ebraiche, inglese di nascita, americano di adozione, è stato un influente storico e politologo di orientameno socialdemocratico, morto di SLA nell’ agosto del 2010.
Guasto appare il mondo a Judt, e naturalmente a tanti altri, a conclusione della trentennale stagione neo- liberista avviata alla fine degli anni Settanta e sfociata nella crisi globale del 2008, nella quale tuttora ci troviamo impigliati.

” In America, in Gran Bretagna e in una manciata di altri paesi, le fortune private non nascono più dalla produzione di beni e servizi ma dalle transazioni finanziarie, con effetti distorsivi sul valore che attribuiamo ai diversi tipi di attività economica. I ricchi , come i poveri, ci sono sempre stati. Ma rispetto al resto della popolazione oggi sono più ricchi e più numerosi di qualsiasi altra epoca di cui si abbia memoria. Il privilegio privato è facile da capire e da descrivere. Più complicato è spiegare l’ enormità dello squallore pubblico in cui siamo precipitati” ( p.10 ).

In questo trentennio, si è verificato un gigantesco spostamento di ricchezza verso l’ alto. ” …nel 1968… l’ amministratore delegato della General Motors portava a casa, fra paghe e indennità, circa sessantasei volte più di quello che prendeva il normale operaio alle sue dipendenze. Oggi l’ amministratore delegato della Walmart guadagna novecento volte quello che prende il suo dipendente medio” ( p.12 ). Esempi del genere si possono citare a iosa.

L’ aumento della disuguaglianza, oltre ad essere eticamente riprovevole, genera l’ acuirsi di problemi sociali ( povertà,emarginazione, alcolismo, droga, gioco d’ azzardo ecc.) ed è anche economicamente depressivo perchè sottrae preziose quote di reddito dai ceti popolari e medi e li riporta nella disponibiltà dei ricchi e degli ultraricchi.

Eppure non è sempre stato così. Nel trentennio 1946- 1979, le politiche socialdemocratiche, sostanzialmente condivise anche da forze cristiano- democratiche e liberaldemocratiche, hanno introdotto la tassazione progressiva, l’ istruzione obbligatoria, il servizio sanitario pubblico, la previdenza e l’ assistenza pubblica, il trasporto pubblico, in una parola il welfare state ed anche una sensibile riduzione della disuguaglianza. Sulla scorta dell’ insegnamento keynesiano , si è valorizzato il ruolo dello Stato , il che ha favorito una crescita democratica e sociale delle società occidentali.

Tuttavia, a partire dalla fine degli anni Settanta, comincia la controffensiva neo- liberista, teorizzata prima dalla scuola austriaca ( Hayek, Mises, Shumpeter ), poi dalla scuola di Chicago ( Milton Friedmann), e attuata in modo impetuoso dalla Thatcher in Gran Bretagna e da Reagan negli USA,  e via via in altri paesi, con diversa intensità, persino con leaders di centro- sinistra.

Cambia in particolare la concezione dello Stato: non più protagonista del welfare e dell’ ascesa delle classi medie e popolari, esso non è più la soluzione del problema, ma il problema, secondo il celebre aforisma reaganiano. Comincia lo smantellamento del ruolo dello Stato, le privatizzazioni( alcune logiche, altre no), l’ attacco al welfare; la socialità perde terreno rispetto alle chiusure corporative, si diffondono le “gated communities, i quartieri recintati spuntati dappertutto nelle nostre città e nei nostri sobborghi negli ultimi trent’ anni ” ( p. 94 ).

Alla fine degli anni Ottanta, crollano uno dopo l’ altro i regimi comunisti dell’ Europa dell’ Est; crollo inevitabile, essendo gli stessi regimi illiberali ed inefficienti e corrotti. Tuttavia anche questa vicenda finisce con l’ indebolire l’ idea stessa del ruolo dello Stato: nè la sinistra nè tantomeno la destra distinguono tra condanna ( giusta) del comunismo e ruolo dello Stato, da ridiscutere e riqualificare , non certo da condannare. Il neo- liberismo senza freni sembra avviato ad un dominio duraturo : le attività finanziarie prevalgono sull’ attività produttiva, anzi muovono un volume d’ affari cinque volte quest’ ultima. Tuttavia , la bolla speculativa sta per scoppiare e, quando questo avviene nel 2008, improvvisamente viene accantonato l’ ostracismo nei confronti dello Stato, al quale si chiede ora, con misure di tipo “ socialistico” il salvataggio delle banche, protagoniste specie quelle anglosassoni della bolla speculativa.

Resta da spiegare come è stata  possibile questa debolezza della politica di fronte all’ ingordigia della finanza. La risposta di Judt  è “ A prescindere dallo schieramento politico Leon Blum e Winston Churchill, Luigi Einaudi e Willy Brandt, David Lloyd Gorge e Franklin Roosevelt rappresentavano una classe politica profondamente sensibile alle proprie responsabilità morali e sociali…Oggi non agisce nessuno di questi incentivi. Politicamente parlando, la nostra è un’ epoca di pigmei” ( p.120 ).

Che fare allora? “ In quanto cittadini di una società libera, abbiamo il dovere di guardare al nostro mondo con occhio critico. Ma se pensiamo di sapere che cosa non va, dobbiamo agire di conseguenza. I filosofi, ha detto qualcuno, finora si sono limitati a interpretare il mondo …ora si tratta di trasformarlo” ( p.170).

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