Considero l’Accordo sul Jobs Act un buon passo in avanti. Si prevede la reintegra anche in caso di licenziamento illegittimo per motivi disciplinari; si stanziano risorse aggiuntive per gli ammortizzatori sociali; si definisce l’elenco dei contratti precarizzanti da sfoltire; si stabilisce che i controlli a distanza riguardano gli impianti, non i lavoratori; si chiarisce che l’eventuale demansionamento deve salvaguardare il livello retributivo del lavoratore; si ribadisce che i voucher devono riguardare attività limitate, senza entrare in concorrenza con il contratto stabile.
Qualcuno può legittimamente sostenere che non basta; che il Governo avrebbe fatto meglio a non toccare l’art. 18. Personalmente sono d’accordo con queste affermazioni. Tuttavia, nel momento in cui il Governo ha presentato il Jobs Act in Parlamento, che cosa bisognava fare: tentare di migliorare il testo e ridurre il danno o limitarsi a denunziare a voce alta la manomissione, per non sporcarsi le mani e salvare la purezza dell’anima?
Per il resto, ciascuno fa il suo mestiere. La CGIL ha il diritto di indire lo sciopero del 5 dicembre, al quale bisogna guardare con rispetto, evitando i toni di sufficienza usati da taluni (pochi per la verità) esponenti del PD. In Parlamento si lavora per migliorare i testi. Che le modifiche non siano secondarie, è testimoniato dalla reazione di contrarietà dell’NCD, poi in parte rientrata. Naturalmente, occorrerà verificare i decreti delegati e, ancor di più, promuovere una ripresa dell’economia, che ancora non si vede. Su questo aspetto, occorre che il Governo e l’Unione europea realmente “cambino verso”.
Giovanni Battafarano Segretario Generale Associazione Lavoro&Welfare