Il libro di Nicola Tranfaglia Breve storia dell’Italia unita (1848-2013) Mondadori Università ha il pregio di offrire uno sguardo d’assieme su questi 165 anni di Stato unitario con un linguaggio semplice e una chiara impostazione. L’autore parte da un giudizio sulla situazione attuale caratterizzata da una crisi economica e insieme morale, politica e culturale, che rivela anche la scarsa capacità delle Istituzioni di rispondere alle esigenze di una società in trasformazione. In questo quadro,lo storico, con le armi dello studio e della critica scientifica, si sforza di indicare le ragioni che hanno portato il nostro Paese alla crisi attuale.
Com’è noto, l’Italia arriva tardi all’unità nazionale rispetto ad altri grandi Paesi dell’Europa occidentale (Francia, Inghilterra, Spagna) ed è una delle ragioni per cui nel nostro Paese il rapporto con lo Stato è stato controverso, e spesso accompagnato dalla tendenza ad affidarsi all’uomo forte per risolvere la difficile governabilità del momento: Crispi, Mussolini, Berlusconi. Una seconda costante è il trasformismo che accompagna tutta la storia nazionale. Si comincia con Cavour, che nel 1857, dopo l’avanzata dei clericali alle elezioni politiche , sostituisce Rattazzi con rappresentanti della destra. Si prosegue con Depretis al potere dal 1876 al 1887 con il sostegno di gruppi e maggioranze diverse e poi con Crispi e Giolitti. Mack Smith, citato da Tran faglia, annota che “…il trasformismo non era una semplice macchinazione di Depretis ma qualcosa di radicato nel sistema elettorale o nell’atteggiamento abituale degli italiani”(p.34). Una terza costante emerse in modo clamoroso con lo scandalo della Banca Romana (1892), che portò alla luce “una enorme circolazione clandestina di banconote che avveniva da in ventennio e di cui avevano usufruito politici importanti dei partiti di governo”(.p.41). Una quarta fu la ricorrente difficoltà a varare una riforma tributaria improntata a criteri di equità e progressività. Ricorda Barbagallo, citato da Tranfaglia, che il disegno di legge predisposto dal Governo Giolitti ai primi del secolo, che “prevedeva la riduzione delle imposte indirette sui generi di consumo popolare e l’istituzione di un’imposta moderatamente progressiva sui redditi e l’aumento dell’imposta di successione, non fu approvato neppure dal Consiglio dei ministri”(p.55). Ritroveremo spesso il manifestarsi di queste tendenze se pur in forme diverse. Proviamo ora ad approfondire taluni passaggi cruciali, a partire dalla Resistenza e dalla Liberazione dal fascismo e dal nazismo.
LA RESISTENZA LA REPUBBLICA LA COSTITUZIONE
Tranfaglia mette in rilievo lo sbandamento dello Stato tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, la fine rapida e traumatica di una dittatura politica ventennale e l’avvento temporaneo di una dittatura dinastica e militare che non sa da che parte stare. L’8 settembre segna il crollo dello Stato, ma anche l’inizio della Resistenza per ricostruire la Patria. Sono i venti mesi della grande tragedia italiana: una sorda guerra civile, secondo il fondamentale studio di Claudio Pavone, che divide i borghi, le città, talvolta le stesse famiglie; 9000 ebrei italiani e 23.800 oppositori politici deportati nei lager nazisti, oltre 600.000 militari italiani internati. Tranfaglia valorizza il contributo della Resistenza alla liberazione dalla dittatura fascista e all’occupazione tedesca e l’unità realizzata tra forze diverse (cattolici democratici, liberali, repubblicani, giellisti, socialisti e comunisti), fino al referendum del 2 giugno e al varo della Costituzione repubblicana. Tuttavia sottolinea la palese contraddizione tra una Costituzione ricca di principi democratici e liberali, aperti ad una concezione moderna e innovativa della democrazia sociale e il persistere di un apparato legislativo risalente al sessantennio liberale e al ventennio fascista, che peserà ben di più dei principi costituzionali e alimenterà l’aspirazione ai regimi personali e populistici.
Avviato il cammino democratico, com’è noto si rompe ben presto l’unità antifascista essenzialmente per ragioni di carattere internazionale. La DC e i partiti centristi si schierano ben presto con gli Stati Uniti e le democrazie occidentali, mentre le sinistre propongono una neutralità, che appare problematica per la posizione strategica della penisola. Tranfaglia poi sottolinea la facilità con cui nella ricostruzione si afferma la dottrina economica neoclassica, mentre la politica keynesiana, pur in voga nei Paesi anglosassoni, trova scarsi adepti nell’Italia del dopoguerra.
LA CRISI DEL CENTRISMO E IL PRIMO CENTRO-SINISTRA
Una stagione di svolta che Tranfaglia ricostruisce con attenzione è quella del primo centro-sinistra degli anni Sessanta, che per il modo in cui nasce, all’indomani del fallito tentativo reazionario del governo Tambroni, sembra riecheggiare, come aveva già notato Giampiero Carocci, la svolta liberale del primo Novecento con il governo Zanardelli Giolitti, all’indomani della stretta autoritaria di Pelloux e Bava Beccaris. Il Governo di centro – sinistra nasce con grandi ambizioni, testimoniate dalle prime realizzazioni( nazionalizzazione dell’energia elettrica, l’imposta cedolare secca, la scuola media unificata), ma anche da un documento importante come la Nota aggiuntiva di La Malfa del 1962, che avvia la programmazione in Italia. Tuttavia, all’interno della maggioranza e del governo si determina subito una divaricazione sulla politica economica tra i fautori della linea neoclassica, Colombo e Carli, quest’ultimo fieramente critico della Nota Aggiuntiva di La Malfa, e il ministro del Bilancio socialista Antonio Giolitti, fautore di una politica keynesiana. La svolta moderata del 1964 sancisce l’involuzione precoce del centro sinistra e conferma la solitudine in Italia del riformista keynesiano; i comunisti, che avevano sostenuto le prime misure, accentuano l’opposizione, mentre nell’estate del 1964 il Piano Solo del gen. De Lorenzo fa baluginare l’avventura di un colpo reazionario. Di fronte al ripiegamento moderato del centro- sinistra, 25 deputati socialisti non votano la fiducia al Governo Moro-Nenni e danno vita al PSIUP. Severo è il giudizio di Tranfaglia sulla scissione a sinistra, che avrà conseguenze rovinose sia per il partito socialista che per le componenti più risolute a promuovere le riforme all’interno della coalizione di centro-sinistra(p.300). Sarebbe forse il caso di discutere se tale valutazione, mutatis mutandis, si possa applicare a situazioni similari, magari dei nostri tempi. Acuto mi pare il giudizio sul PCI dell’epoca, con la dialettica interna tra l’ala Amendola, che premeva per una svolta socialdemocratica e che tuttavia era la più legata all’Unione Sovietica, e l’ala Ingrao, molto critica verso il comunismo sovietico, ma scarsamente realistica nell’analisi della società italiana. Interessante mi pare, per l’attualità che mantiene, è la descrizione del formarsi di un ceto di governo meridionale per lo più democristiano, che utilizza la spesa pubblica per costruire una vasta rete clientelare attraverso assunzioni nel settore pubblico, il dilagare delle pensioni di invalidità, il condizionamento degli appalti. A tutto ciò si aggiunge la crescita delle associazioni mafiose o similari che condizionano sempre più la vita pubblica e le relazioni economiche e spesso entrano in collusione con settori della politica di governo. Arretratezza economica, involuzione clientelare, condizionamenti della criminalità organizzata saranno un lascito pesante ai successori del centro-sinistra. Anche i partiti gradualmente cambiano pelle. “…per il declino evidente delle grandi ideologie…le forze politiche sono divenute a poco a poco partiti elettorali, pigliatutto, attenti alle esigenze dell’una o dell’altra frazione del proprio lettorato e spingono il Parlamento ad una legislazione sovrabbondante e farraginosa…poco osservata e applicata”, con negative ricadute sul bilancio pubblico(P.319). A ciò si aggiunga la contraddizione tra una modernizzazione economica e un sistema politico e istituzionale ormai inadeguato.
GLI ANNI DELLA TRANSIZIONE REPUBBLICANA (1975-2.005)
A metà degli anni Settanta, la crisi montante induce la DC di Moro e il PCI di Berlinguer a fornire una risposta con i governi di unità nazionale. Quella politica non ebbe esito positivo sia per la forte avversione degli USA sia per il persistere di una pregiudiziale anticomunista nella DC, divenuto ormai il partito conservatore dell’Italia. Lo stesso approccio di Berlinguer per una società più austera e giusta non entrava in sintonia con le profonde trasformazioni dell’Italia nell’ ultimo decennio. Qualche anno dopo Gerardo Chiaromonte riconobbe l’impreparazione della sinistra italiana a gestire la questione dello sviluppo in una fase di profondo cambiamento. Il bilancio delle realizzazioni fu modesto, anche per la scarsa collaborazione del mondo delle imprese, mentre senz’altro efficace fu la tenuta democratica del Paese di fronte all’offensiva terroristica rossa e nera. Com’è noto, quella politica arrivò al capolinea con il delitto Moro,sul quale il giudizio di Tranfaglia si può sintetizzare così:”Dal complesso delle indagini giudiziarie e parlamentari, emerge che…esistono tuttora elementi di incertezza non risolti che inducono a pensare che si tratti di un segreto gelosamente custodito…da tutti quelli che ebbero una funzione centrale in quell’azione”(p.331).
Sulla successiva esperienza del pentapartito, al di là del giudizio politico consolidato, pare utile ricordare la crescita esponenziale della spesa pubblica. Negli del governo Craxi, la spesa pubblica aumenta dal 72% al 93%, nonostante la favorevole congiuntura economica. Si accrescono le pratiche clientelari nel Paese, come l’influenza della criminalità organizzata nella vita pubblica e va ricordato il sostegno dei governi di quegli anni alla crescente fortuna della televisione commerciale di Silvio Berlusconi. Ai primi anni Novanta, in seguito all’inchiesta giudiziaria di Milano, entra in crisi profonda il sistema politico e viene fuori un quadro preoccupante di corruzione diffusa, di fronte al quale tuttavia la reazione appare debole e altalenante. Tranfaglia cita le conclusioni del Presidente della Commissione anticorruzione della Camera dei deputati, Giovanni Meloni: ”Devo pervenire non senza amarezza alla conclusione che la lotta alla corruzione trova nel nostro Paese malferma volontà, quando non ambiguità e perfino riserve mentali…i diritti delle persone e l’autonomia della politica vengono messe in discussione e si indeboliscono, se si rinuncia a dettare regole che per essere efficaci, devono essere rigorose”(p.346). Parole di grande attualità oggi che si discute ancora una volta di norme anticorruzione.
Un altro passaggio importante è il Governo dell’Ulivo con Romano Prodi a partire dal 1996. Senza ricordare le importanti realizzazioni di quel periodo come pure le traversie politico-parlamentari, giova richiamare il dissidio politico che lo accompagnò dal principio tra i sostenitori di un nuovo partito democratico che tenga insieme le culture (comunista, socialista, cattolico-democratica, liberaldemocratica e chi invece guardava all’Ulivo come alleanza dei partiti esistenti capaci di rinnovarsi. Questo dissidio, che esplose nell’incontro di Gargonza del 1997, indebolì l’azione del Governo e della maggioranza, mentre intanto Berlusconi andava riorganizzando Forza Italia su un modello presidenziale fortemente centralizzato e si preparava alla rivincita del 2001. Va ricordato in questa stagione il ripetersi del fenomeno del trasformismo, con il passaggio dei parlamentari dell’UDR di Cossiga dai banchi dell’opposizione a quelli della maggioranza e del governo. Naturalmente non sono mancati prima e dopo casi similari di diverso segno politico(p.360).
TRIONFO E DECLINO DEL POPULISMO (2006-2013)
In questa stagione, trova piena manifestazione il fenomeno del populismo, cui pure Tranfaglia ha dedicato uno studio specifico. L’indebolimento o la scomparsa dei grandi partiti di massa, il ruolo sempre più invasivo della TV commerciale, l’affermarsi dei modelli neo-liberisti sono tra le cause della crisi dei corpi intermedi, della mediazione politica, delle politiche tripartite di concertazione e dell’affermazione dell’uomo solo al comando, che si accredita come capace di tagliare il nodo gordiano dell’inconcludenza del sistema politico, della asfissiante burocrazia, del teatrino della politica. Tranfaglia descrive con acume la nascita dei partiti personali , con tanto di nome del leader sulla scheda elettorale: da Berlusconi a Bossi, a Di Pietro a Vendola. Con il secondo Governo Prodi, si assiste al breve ritorno del centro-sinistra , che potrebbe e dovrebbe cogliere l’occasione irrepetibile per mostrare compattezza e scongiurare l’ennesimo ritorno berlusconiano. Appare ben presto chiaro che ci sono forze interne che minano la sua stabilità, non soltanto le forze della sinistra radicale, ma anche quel nascente partito unico che lo stesso Prodi aveva concepito e voluto. Tranfaglia sottolinea i deboli margini di maggioranza al Senato, la difficile navigazione parlamentare, l’angustia della prima Finanziaria(2007), il discredito provocato dalle scalate illecite(UNIPOL), l’ennesima manifestazione di trasformismo protagonista Mastella, ma anche l’impazienza veltroniana a sostenere una compagine governativa poco popolare. La successiva campagna elettorale registra la scelta del PD di correre da solo, a parte i dipietristi e i radicali; una campagna elettorale poco alternativa, sui contenuti programmatici e sul conflitto d’interesse. A sua volta, la sinistra radicale non ha un proprio disegno di governo, si rassegna a consegnare il Paese a Berlusconi né lavora seriamente per costruire una nuova forza unitaria capace di parlare ai lavoratori e ai giovani con il linguaggio di oggi(p.380).
Con il ritorno di Berlusconi, si accentua la crisi della Repubblica in particolare per due elementi: l’alto tasso di trasformismo, con il passaggio di varie decine di parlamentari da un partito all’altro, da uno schieramento all’altro; e la corruzione, che ci colloca ai primi posti nelle classifiche europea e mondiale (p.382). La destra al potere guarda ad un modello di democrazia plebiscitaria e populista. Secondo un giudizio di Todorov, “…il populismo identifica le preoccupazioni della maggioranza, ma propone soluzioni semplici, ma impossibili da applicare”(p.399). Il populismo, raggiunto l’ennesimo trionfo, ben presto mostra la corda: l’aggravarsi della crisi economica, il dilatarsi dello spread, portano alla crisi del governo Berlusconi nel novembre 2011. Il Governo Monti presenta un profilo apprezzabile e credibile nei contatti internazionali, ma la politica economica restrittiva non favorisce la crescita né la caratura tecnica del governo impedisce errori gravissimi come quello degli esodati. Il resto, i risultati delle elezioni politiche del 2013, la mancata vittoria del PD e dei suoi alleati, la difficoltà ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, il perpetuarsi delle larghe intese, il passaggio dal Governo Letta al Governo Renzi, è cronaca dei nostri giorni.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Anche sulla scorta delle analisi di Sabino Cassese, Paolo Sylos Labini, Massimo Salvadori, Tranfaglia sottolinea la debolezza dello Stato italiano a 150 anni dalla sua nascita per il peso opprimente della criminalità organizzata o di poteri occulti (la P2), della corruzione e del trasformismo, del familismo amorale o dello spirito di clan. Il potere politico si è concepito insostituibile per la presenza di forze antisistema( di volta in volta repubblicani e anarchici, cattolici, socialisti e comunisti); è mancata una libera e non traumatica alternanza tra forze liberali e democratiche all’interno del sistema. Questa pretesa insostituibilità del potere ha portato a forzature e prevaricazioni, a demonizzazioni dell’avversario politico, ad un clima emergenza politica permanente. I finanziamenti stranieri (americani e sovietici) hanno accresciuto i fenomeni di corruzione e di pretesa impunità. Questo schema salta ai primi anni Novanta, ma non si dà luogo ad una nuova, condivisa democrazia dell’alternanza, se Berlusconi mantiene in vita un anticomunismo di maniera, pur in assenza di comunismo, e non riconosce mai le sconfitte elettorali, attribuite solitamente ai brogli dei subdoli avversari. Che fare allora? Tranfaglia riprende una riflessione di Paul Ginsborg, improntata a britannico pragmatismo: ”l’idea delle riforme mobili…riforme che coinvolgono i cittadini stessi in una dinamica di decision maker che parte dal basso verso l’alto…che portano la gente ad autorganizzarsi , a prendere parte continuativa nel processo riformatore”(p.414). L’esperienza del riformismo senza popolo ha già avuto esito negativo e, in assenza di una mobilitazione dal basso, rischiamo di incappare nell’ennesima ricerca dell’uomo forte al comando.