l 25 aprile 1945, si concludeva vittoriosamente la Resistenza, con la caduta del fascismo e la liberazione dall’occupazione tedesca. Attraverso venti mesi di un duro conflitto, l’Italia poteva riscattarsi dagli anni bui della dittatura e si avviava a ritornare nel consesso delle nazioni libere e democratiche. Tanti i protagonisti di quella straordinaria stagione. I partigiani, spesso giovani o giovanissimi, presero le armi per riscattare l’onore dell’Italia e molti di loro sacrificarono la vita, come ci ricordano le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Erano, i partigiani, di diverse idee. C’erano le brigate Garibaldi e Matteotti della sinistra; le brigate di Giustizia e Libertà; le brigate Osoppo dei cattolici democratici; quelle dei badogliani e dei monarchici. Divisi sull’idea di futuro, essi, tuttavia, erano uniti nella volontà di liberare l’Italia. C’erano le staffette partigiane, giovani donne che rischiavano la vita per portare messaggi o materiale informativo. Tra di loro ricordiamo almeno Nilde Iotti e Tina Anselmi, che avranno un ruolo di primo piano nella democrazia repubblicana.
I militari del ricostituito esercito italiano combatterono con onore a fianco degli alleati; tanti sacrificarono la vita, ricordiamo fra tutti i martiri di Cefalonia; gli IMI, i 600mila militari internati italiani, che rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò e furono imprigionati nei campi di concentramento tedeschi, dai quali 200mila di loro non fecero più ritorno. C’è stata anche la Resistenza non armata: i contadini, che protessero e nutrirono i partigiani; i sacerdoti cattolici che salvarono numerosi cittadini ebrei; i tanti che in modo diverso contribuirono alla liberazione dal fascismo. La Resistenza quindi è stata un grande moto di popolo, che non va mai ristretta a fini di parte. Si è svolta prevalentemente al Centro Nord, ma ha preso le mosse al Sud. Matera fu la prima città italiana a ribellarsi all’occupazione straniera nel settembre 1943 e pagò la sua scelta di libertà con una strage; l’inizio di una lunga scia di stragi, da Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema, a Boves e tante altre, che accompagnò la ritirata dei nazifascisti. Con le successive Quattro Giornate del 28 settembre-1 ottobre, Napoli fu la prima città italiana a liberarsi dall’occupazione straniera. Tanti sono stati, poi, i partigiani e i militari meridionali che hanno combattuto al Nord e spesso hanno sacrificato la vita.
Anche la nostra città ha dato un contributo prezioso alla Resistenza e alla Guerra di Liberazione. Ricordiamo tra i protagonisti più noti Pietro Pandiani, il comandante Piero, ricordato con affetto da Enzo Biagi, che fu suo collaboratore nella Resistenza emiliana; il colonnello dei Carabinieri Ugo De Carolis, tarantino d’adozione, ufficiale di collegamento con la Resistenza romana, catturato dai tedeschi e trucidato alle Fosse Ardeatine, cui Taranto ha intitolato la Caserma dei Carabinieri, una scuola media e una strada; Giacomo Bonifazi e Osvaldo Simonetti, partigiani al Nord e successivamente presidenti dell’ANPI Taranto.
Ai caduti tarantini, è dedicata la lapide a Palazzo di Città affissa dalla Giunta Municipale il 25 aprile 1947. Se scorriamo i nomi, rintracciamo le loro storie: operai, artigiani, professionisti. Morti lontano dalle loro case, ma nel cuore dell’Italia.
Nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione, si gettarono le basi della nuova Italia. In soli quattro anni, tra l’8 settembre 1943 e fine dicembre 1947, l’Italia cambiò profondamente: si liberò dalla dittatura fascista e dall’occupazione straniera, scelse la Repubblica, diede il voto alle donne; adottò la Costituzione più bella del mondo, fondata sul lavoro, la libertà, la coesione sociale e nazionale, la tutela della cultura e del paesaggio, il ripudio della guerra.
Dobbiamo oggi recuperare quell’afflato unitario che ha permesso ai nostri padri di rinnovare l’Italia; contrastare le spinte diffuse all’egoismo di gruppo e di territorio, all’intolleranza e al razzismo. Questo positivo afflato unitario serve anche alla nostra città, che attraversa una difficile transizione e vuole ritrovare con forza la sua identità e la sua funzione nell’Italia e nell’Europa di oggi.
Celebrare il 25 aprile non è quindi un semplice volgere lo sguardo all’indietro; semmai un voler rintracciare nelle radici della Repubblica le risorse politiche e morali necessarie per realizzare una nuova stagione di riforme e di crescita, di libertà e di solidarietà per la nostra Italia.
Giovanni Battafarano