di Roberto Nistri
Il 27 gennaio 1945, lungo la pianura innevata, si vedevano avanzare i carri dell’Armata Rossa. I sovietici spalancavano i cancelli di Auschwitz, simbolo per eccellenza dei campi di sterminio . Iniziava l’interminabile conta dei sommersi e dei salvati. Fra i sopravvissuti: ebrei ma anche deportati politici, testimoni di Geova, portatori di handicap, omosessuali, zingari (sinti e rom). Il 28 gennaio 2015 a Taranto veniva conferita la medaglia d’onore a Vittorio Caroli per aver mantenuto fede al proprio giuramento durante la deportazione.
Gli angloamericani aprivano i campi di Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau, Mauthausen e Majdanek. Veniva la scoperta dei sottouomini, dei materiali per esperimenti. Al seguito delle truppe erano presenti operatori cinematografici di grande valore come Bernstein e Hitchcok. La loro preoccupazione era quella di documentare quante più prove possibili sull’infamia dei campi di morte, ben prevedendo le future manifestazioni di scetticismo o addirittura di negazionismo circa gli indicibili orrori che erano finalmente sotto gli occhi di tutti. Bernstein diceva: “sosterranno che sono solo trucchi di cinema”. Notabili ed ecclesiastici del luogo venivano spinti a chinarsi presso i corpi martoriati, eppure in seguito tanti si sarebbero rifiutati di guardare in quello schermo (scene conservate per anni nel War Museum di Londra) ma Alfred Hitchcok avrebbe detto: “Il ricordo di quel film non mi ha mai abbandonato”. Per forza! In quel film era in nuce tutta la sua straordinaria storia cinematografica. Gli bastava ruotare la cinepresa dalla baracche dei deportati verso i circostanti luoghi ameni di villeggiatura come Ebensee. Tutte in torno si vedevano le linde casette di famigliole felici e indifferenti, che venivano chiamate a sfilare nei lager. L’innocente vita dei “volenterosi carnefici di Hitler”: da una parte il lieto pasto quotidiano, dall’altra le continue emissioni di fumo nel campo. Fra questi due poli si distende la mai finita storia del complice in “buona fede”.
Testimonianza di Ferdinand Holl , ex prigioniero politico e kapò del campo di concentramento di Neuengamme: “I prigionieri venivano spogliati completamente ed entravano nel laboratorio uno dopo l’altro. Io dovevo tenere ferme le loro braccia, mentre un medico ci strofinava sopra qualche goccia di iprite, il cosiddetto gas mostarda, che provocava terribili ustioni. Dovevano aspettare in piedi con le braccia aperte anche dieci ore, forse più, finchè le ferite da bruciatura non iniziavano a ricoprire tutto il corpo, progressivamente raggiunto dai fumi del gas. Il primo morto veniva dissezionato, i suoi organi interni erano stati completamente erosi” (dal resoconto della stenografa Vivien Spitz durante il processo ai medici dal ’46 al ’47, che definivano le loro cavie umane “materiali” o conigli. Le prove erano ineccepibili: i nazisti avevano fedelmente registrato per iscritto, con foto e filmati, gran parte delle loro atrocità. Nel campo femminile di Ravensbruck si trapiantavano da una prigioniera all’altra sezioni di ossa, muscoli e nervi per verificare se i tessuti si rigeneravano. Una sedicenne polacca venne operata sei volte. I prigionieri venivano infettati deliberatamente per sperimentare ipotetici vaccini. Gli zingari venivano sterilizzati in massa.
L’esperienza del dolore non si può trasmettere, avrebbe detto Pietro Nenni, la cui figlia aveva trovato la morte ad Auschwitz . Non si poteva fare nulla? Altrochè: re Boris di Bulgaria si era rifiutato di sottoscrivere le leggi razziali. Il vicepresidente del suo parlamento fece salvare 48.000 ebrei bulgari. Leggi che invece erano state sottoscritte a cuor leggero dal vile re savoiardo: nel 1939 venivano allontanati da tutte le scuole italiane docenti e studenti ebrei. Non ci fu un preside in tutta Italia, una maestra che si ribellò. Veniva ordinata l’espulsione degli stranieri ebrei, inclusi quelli che avevano la cittadinanza. Si registrava il sostegno entusiasta di Agostino Gemelli, fondatore e rettore magnifico dell’Università cattolica del Sacro Cuore. Per quelli che non lasciavano l’Italia veniva creato il campo di concentramento di Ferramenti a Tarsia (Cosenza). Seguivano disposizioni che portavano sempre nuovi divieti tra i quali: essere portieri in case abitate da ariani; esercitare il commercio ambulante; esercitare l’arte fotografica; commerciare libri; vendere oggetti usati; vendere articoli per bambini; raccogliere lana per materassi; essere titolari di esercizi pubblici di mescita di alcolici; gestire scuole da ballo e di taglio; vendere oggetti di cartoleria; raccogliere rifiuti; gestire agenzie di viaggio; condurre autoveicoli di piazza; pubblicare avvisi mortuari e pubblicitari; inserire il proprio nome negli elenchi telefonici; essere affittacamere, detenere apparecchi radio; essere insegnanti privati; accedere alle biblioteche pubbliche, fare la guida e l’interprete, allevare colombi viaggiatori… su tali discriminazioni gli italiani si sono costruiti una memoria di comodo, presentandosi sempre come vittime, mai come persecutori.
La proposta di Furio Colombo di indicare il Giorno della Memoria il 16 ottobre 1943, giorno del rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma voleva far risaltare il carattere di delitto italiano e non solo tedesco dell’Olocausto. Arrivava un treno merci di 18 vagoni, ammassava 1.022 persone che avevano il torto di essere italiani sbagliati, di sangue ebreo. Una donna incinta aveva le doglie, chiedeva aiuto. Lei e il suo piccolo soffocarono nel sangue e nello schifo prima di arrivare ad Auschwitz. Non è vero che fummo semplici esecutori, magari un po’ restii, di un genocidio pensato e voluto altrove. Pendevano delle taglie sulla “razza maledetta”: 5 mila lire per ogni maschio, 3mila per le femmine, mille per un bambino. L’onore di pochi giusti non cancella il disonore di una nazione, che per sette anni almeno, ha fatto propria una follia che ha prima isolato, poi spogliato di ogni bene e diritto, e infine infierito su una minoranza di 40 mila esseri umani, di cui più di 7mila morti nei lager, colpevoli di ebreitudine (Gad Lerner, Un mondo senza noi).
Quanto ad Hitler, la sua guerra contro gli ebrei, era persa in partenza: da quando aveva fatto annientare i centri studi di Fisica della Germania, diretti da eccellenti studiosi ebrei, che immediatamente erano emigrati negli Stati Uniti (lo stesso doveva accadere nell’Italia di Enrico Fermi, Dulbecco, Rita Levi Montalcini) . Su 20 premi Nobel dati ai tedeschi, undici li avevano presi gli ebrei e tra quelli illustri c’era anche Einstain. Quando il ministro Rust chiese a Hilbert se fosse vero che l’istituto di matematica aveva sofferto dell’espulsione degli ebrei, la risposta fu lapidaria:” Non ha sofferto, non esiste più”. Sembrava che l’ottuso tiranno avesse un conto in sospeso nei confronti degli uomini di scienza. Si ricorda che a 14 anni, in un istituto a Linz in Austria, avesse come compagno di scuola un ragazzo che doveva farlo innervosire non poco: il grande genio ebreo Wittgenstein, il logico e matematico che avrebbe in seguito decriptato i codici segreti del Reich, comunicandoli anche all’Unione Sovietica.
Anche le frustrazioni della malariuscita artistica del giovane Adolf dovevano spingerlo ad odiare la grande arte delle avanguardie pittoriche, che lui condannava come “degenerate”. Per le bizze del despota, il Reich avrebbe anche perso la straordinaria cinematografia (UFA) che si sarebbe trasferita in massa ad Hollywood, in quella fabbrica dei sogni che il genio ebraico aveva creato.
Contro il regno degli assassini, armi imbattibili si stavano forgiando nello spirito della libertà, anche semplici matite capaci di demolire il Moloch. Venivano impugnate nel 1938, quando in Germania si scatenava la notte dei cristalli, mentre in Italia venivano varate le leggi razziali. In quell’anno usciva negli Usa un fumetto disegnato da due giovani emigranti ebrei, Shuster e Siegel: dall’antica mitologia ebraica, nella figura del Golem protettore e giustiziere, nasceva Superman. Si ritornava alla storia di un esodo senza fine. L’ avventura : un popolo è consapevole che finirà distrutto con tutto il suo pianeta (Kripton). Lo scienziato Jor-El salva il figliolo Kar El sparandolo in un vascelletto nello spazio, verso la Terra, dove verrà accolto da due anziani terrestri. Dotato di grandi poteri vivrà sempre come un diverso, amato ma anche temuto, straniero impossibilitato ad integrarsi. Ritornava la storia del piccolo Mosè, salvato dalle acque, un tipo tosto, dotato di grandi poteri. Era il primo di una squadra speciale speciale di Supereroi, caricati per combattere il regno del male: a tempo a tempo nasceva nel ’43 Capitan America, e poi Iron man e via disegnando. Ebbene, nella lunga marcia verso Berlino, ogni soldato americano aveva nel suo zaino una razione di cibo, un pacchetto di sigarette e un fumetto dei Super eroi: i due piccoli disegnatori ebrei erano tornati a casa da vincitori.
La memoria sofferente del Padre, sopravvissuto allo sterminio di Hitler, doveva essere onorata nel dopoguerra, con lo splendido fumetto Maus di Art Spiegelman. Un corpo a corpo fra padre e figlio, difficile e quasi impossibile, perché l’esperienza non si può trasmettere. Spiegelman è l’autore che più di ogni altro ha contribuito ad elevare lo status del fumetto da semplice mezzo di intrattenimento a fenomeno culturale, in grado di toccare le realtà più complesse e dolorose. Steven Spielberg ha raccolto e conservato un immenso patrimonio memoriale nella Shoa Foundation. Una impresa iniziata da ragazzetto, imparando a leggere i numeri dai sopravvissuti dell’Olocausto che gli facevano vedere i loro tatuaggi. Una identità inondata di mortalità, di atti di odio indicibili, ma anche pervasa di indomabile resistenza. Il nipote del generale Kammler, architetto delle camere a gas, è il sociologo Tilmann, che da sempre studia i fenomeni di violenza tra gli adolescenti, perché alcuni uomini accettano di farsi sottomettere e si conformano, perché torturano e umiliano il prossimo. I dossier Usa sul nonno risultano ancora secretati per occultare il ruolo del nazista reclutato nella fase della guerra fredda.
Nella Giornata della memoria, alle elezioni in Grecia, si è affermato come terzo partito quello dei neonazisti di Alba Dorata. In Italia hanno preso a circolare gruppi musicali come “99 Fosse” (con la F).
Ma i tedeschi quanto vogliono ricordare il loro crimine contro l’umanità? 81 su cento desiderano lasciarsi la Memoria alle spalle. Lo rivela un sondaggio della fondazione Bertelsmann. 58 su cento sperano che di Shoa non si parli più. I dati coincidono con un presente in cui i nuovi nazionalisti xenofobi di Pegida riempiono le piazze all’est. Del resto già dal 1949 l’Fdp aveva chiesto uno stop alla denazificazione (“la Repubblica” 27 gennaio 2015). Urge riflettere sul rapporto che ci deve essere tra la Memoria e la Storia: se la prima tende a sbiadire la seconda deve invece fondarsi su una rigorosa analisi dei fatti, per poter comprendere i legami di causa ed effetto. Se l’emozione dovesse prevalere, quella Memoria sarà destinata a dissolversi. Solo la Ragione è l’alternativa ad Auschwitz. Solo conoscendo e riconoscendo con chiarezza, potremo superare “La Repubblica del dolore”, come ha scritto lo storico Giovanni De Luna, nel suo testo edito da Feltrinelli.
Gli inizi: Duemila anni di giudeofobia
Le razze non esistono, ma il razzismo c’è e fa male. E’ ricorrente come imposizione di un gruppo su un altro gruppo, ritenuto inferiore e/o dannoso. Si può auspicare il suo annientamento (genocidio) o la distruzione della sua cultura (etnocidio). L’anticamera del razzismo è l’ostilità attiva verso lo straniero ( xenofobia). La più spontanea manifestazione è sempre la stessa: “via gli stranieri”. Invece l’incontro-scontro fra culture delinea un campo di compatibilità e conflittualità non facile da padroneggiare, soprattutto nel quadro di vistosi e inarrestabili processi migratori, affrontati non tanto con strumenti scientifici quanto con vecchie mitologie e superstizioni. Anche la democrazia, che pure ha un raggio d’influenza mai registrato nel passato, sembra mostrare la sua fragilità, è in difficoltà, non riuscendo a riconvertire il consumismo in umanesimo, vivendo in bilico tra universalismo e localismo. Una democrazia che tenga fede al suo nome implica tolleranza e apertura verso gli altri, ma se non è in grado di offrire reali chance di vita e opportunità all’altro, la democrazia si suicida. E’ oggi difficile, anche per buona creanza, una dichiarazione esplicita di razzismo, ma è diffuso un certo razzismo pop di sottopancia.
L’antisemitismo non lo ha certo inventato Hitler. Durante tutto l’Ottocento era in diverse forme circolante nelle culture politiche di destra ma anche di sinistra. Partendo dalla cultura della cristianità, sia cattolica sia protestante, era incistata l’idea di una colpa collettiva, che il nazifascista , l’uomo delle pulizie, si sentiva in obbligo di annientare nella figura dell’impuro, del non ariano. L’antica ostilità dei cristiani nei confronti degli ebrei ovviamente non derivava da una concezione razziale. Si trattava di una prevedibile concorrenza fra una antica religione e una nuova (considerata una eresia dell’ebraismo). Gli ebrei ai tempi di Giulio Cesare erano ben insediati a Roma con una “carta dei diritti”. Non facevano proselitismo in quanto l’ebreo era semplicemente un nato da madre ebrea. Il proselitismo cristiano che spaccava le famiglie e sembrava irriguardoso nei confronti dell’Imperium pareva invece una grande anomalia da cancellare. Le cose dovevano cambiare con la coniugazione fra religione cristiana e potere imperiale. A quel punto si rafforzava una giudeofobia legittimata dalla accusa antica e bislacca di deicidio. La persecuzione doveva rafforzarsi nel corso dei secoli ma, a differenza di quella nazista, mirava alla conversione e non alla soppressione. Certamente la chiesa cattolica ci mise di suo nel seminare zizzania.
Ancora oggi qualcuno continua ad esaltare la “tolleranza” di Costantino, il vero padre dell’antisemitismo. L’undici dicembre 321 veniva emanato il Codex Judaeis, la prima legge penale antiebraica. L’editto di Milano riconosceva il cristianesimo come religio licita e “collante” politico più efficace dei vecchi culti. L’editto definiva la superstitio ebraica “secta nefaria”, “ feralis, ” e formalizzava l’accusa di deicidio: quel Costantino che per tutta la vita aveva conservato il titolo pagano di pontifex maximus. Successivi imperatori dovevano ridurre ulteriormente i diritti degli ebrei, privati delle sinagoghe e sepolti in luoghi lontani. Nel fondamentale Concilio di Nicea del 325 si perveniva alla unificazione nelle stesse mani del potere temporale e di quello religioso. Con Teodosio il cerchio si chiudeva con la proclamazione del cristianesimo come religione di stato, perseguitando ogni altro culto, l’ebraismo compreso.
S. Giovanni Crisostomo nel IV secolo si sarebbe preoccupato di mettere in giro la voce degli ebrei che sacrificavano i bambini. Già il quarto Concilio Laterano aveva ordinato agli ebrei di portare dei vestiti che li distinguessero: un cappello giallo per gli uomini, un velo per le donne. Più praticamente Hitler avrebbe adottato la stella di Davide per tutti. Nel 1215 papa Innocenzo III escludeva gli ebrei da qualunque associazione professionale: potevano esercitare solo pratiche proibite per cristiani e musulmani: cambiovalute e soldi in prestito, attività alle quali facevano ricorso poveri contadini a rischio di esproprio, ma anche potenti e sovrani. Naturalmente chiunque dovesse restituire soldi all’ebreo, non provava per lui molta simpatia. Nel 1555 si arrivava alla bolla infame di Paolo IV che istituiva il “serraglio” per gli ebrei condannati a vivere di sole “arti strazziarie vel cenciariae” .
Si aggiunga che l’ebreo era sempre considerato un diverso, uno “strano”, ma anche dotato di un oscuro potere. Gli spiriti semplici temono ls scienza, ciò che non conoscono . In epoche in cui anche i potenti erano analfabeti, l’ebreo era l’uomo del libro, con la testa sempre fra strani rotoli di carattere magico. Lo stesso Hitler odiava massimamente l’ebreo, al punto da annientarne completamente la stirpe fino all’ultimo neonato, ma ne aveva paura ed era affascinato da quei poteri oscuri di cui cercava in tutte le maniere di appropriarsi. L’aggressività mascherava sempre un umiliante complesso di inferiorità. Gli uomini piccoli odiano ciò di cui hanno paura, mascherando un umiliante complesso di inferiorità.
L’ebreo, spesso dal popolino confuso con l’eretico e lo stregone, era il perfetto capro espiatorio, addirittura un portatore di peste, che si poteva impunemete allontanare o sopprimere. Solo nel concilio Vaticano II, Nostra aetate, scompariva la preghiera pro perfidis judeis, volta alla conversione dei maledetti deicidi. La misteriosa onnipotenza ebraica veniva sempre più enfatizzata dalle varie agenzie poliziesche, che fabbricavano a ripetizione documenti farlocchi come i “Protocolli dei Savi di Sion”. Ci si convinceva che dietro tutti i grandi sommovimenti, dalla rivoluzione americana a quella francese a quella russa, gli ebrei avessero manovrato nell’ombra. In realtà proprio la vita nel ghetto aveva conferito all’ebraismo un forte senso di identità ma anche la capacità di muoversi su scala globale.
Un caso limite rimane quello dell’antisemitismo in assenza di ebrei.
Valga l’esempio della città di Taranto: dopo la promulgazione delle leggi razziali, gli ebrei presenti in città si contavano sulle dita di una mano. Eppure i professionisti del razzismo fecero carriera nelle scuole, nei giornali, nel pubblico impiego, addirittura riscrivendo una storia adulterata della presenza ebraica sul territorio, manifestando entusiasmo per la distruzione della ultima traccia di una antica presenza semita: il vicoletto Giuda, doveva scomparire grazie al colpo di piccone mussoliniano.