CONFEDERAZIONE ITALIANA
FRA LE ASSOCIAZIONI COMBATTENTISTICHE E PARTIGIANE
I V N O V E M B R E
GIORNATA FESTA delle FORZE ARMATE E DELL’UNITÁ NAZIONALE
I Combattenti, Decorati al Valor Militare, Congiunti dei Caduti, Mutilati ed Invalidi di Guerra, Protagonisti della Guerra di Liberazione e dellaResistenza, Reduci dalla Deportazione, dall’Internamento e dalla Prigionia, in memoria della grande guerra e della sua conclusione
RICORDANO
quanti, fedeli alla Bandiera, sacrificarono la loro esistenza o subirono immani sofferenze per una Italia libera e indipendente;
RIVIVONO
nell’anno in cui iniziano le Celebrazioni del 70° anniversario della Resistenza e della Guerra di Liberazione, il sentimento corale edesemplare di orgoglio del popolo italiano che ha portato, con la lotta al nazifascismo, alla riconquista della libertà e della democrazia nel nostro Paese;
MANIFESTANO
riconoscenza alle Forze Armate, presidio delle Istituzioni repubblicane, e ai militari che anche all’estero, rischiano la vita al servizio della comunità internazionale, per la pace e la convivenza tra le Nazioni;
PERSEVERANO
nel trasmettere alle nuove generazioni la memoria degli eventi che hanno caratterizzato la storia della Patria.
La Confederazione Italiana fra le
Associazioni Combattentistiche e Partigiane
Roma, 4 novembre 2013
Ho conosciuto Nino D’Ippolito nei primi anni Settanta, quando entrai nel PC ionico e mi trovai a cospetto di un gruppo dirigente di grande competenza e autorevolezza, Nel 1972, Nino aveva concluso la sua esperienza parlamentare ed aveva ricominciato, con modestia e generosità, la sua attività come dirigente del partito ionico. Egli era molto disponibile a dialogare con i giovani e a trasmettere la miniera di conoscenze e di sapienza politica che aveva accumulato in trent’anni di milizia a sinistra.
Egli infatti aveva aderito al Partito comunista d’Italia, come si chiamava allora, sin dal 1943, ancora sotto il regime fascista. L’Antifascismo fu sempre la bussola della sua milizia politica. Apparteneva ad una famiglia comunista, a partire dal padre, ai fratelli Euro ed Eneide, alla moglie Ave Quaratino. Ben presto divenne giovane dirigente del partito e nel 1946 fu direttore del giornale di Unità Proletaria. Il comunismo ionico aveva una base di massa tra gli operai dell’Arsenale Marina Militare e dei Cantieri Navali e ben presto divenne una forza robusta , tanto da esprimere nell’immediato dopoguerra, due Sindaci comunisti, Odoardo Voccoli e Carlo Di Donna, e, successivamente, nel 1956, il Sindaco Nicola De Falco. Nino D’Ippolito fu segretario della Federazione comunista di Taranto e contribuì alla costruzione di una delle più forti organizzazioni comuniste del Mezzogiorno. Successivamente, diresse anche il partito di Brindisi e nel 1963 fu eletto deputato al Parlamento e rieletto nel 1968, con percentuali elevate, che avvicinavano Taranto ai livelli delle regioni rosse. In Parlamento, Nino mostrò grande competenza sulle questioni economiche e sulle problematiche della Difesa, oltre che della neonata industria siderurgica ionica.
Negli anni in cui ci frequentammo di più, discutevamo di politica, ma anche di libri e di cinema. Avevamo, inoltre una passione in comune: il gioco degli scacchi. Sulla scacchiera, ritrovavamo tante affinità con la politica: saper difendere e saper attaccare; coordinare i pezzi e fare gioco di squadra; non sottovalutare l’avversario né farsi intimidire da lui. Insomma, facevamo battaglie politiche anche sulla scacchiera. Ora che se n’è andato, ricordiamo in lui uno dei protagonisti della costruzione di una grande sinistra ionica, al servizio dei lavoratori, al servizio dell’Italia.
Giovanni Battafarano Presidente ANPI Taranto
Il 4 ottobre scorso si è costituita a Massafra l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.) alla presenza del responsabile nazionale e provinciale, Sen. Giovanni Battafarano. La necessità di far nascere l’ANPI a Massafra costituisce un fatto di grande rilevanza culturale e istituzionale, per affermare con maggior forza la difesa della Costituzione italiana, nata dalle Resistenza contro il nazifascismo. Il ruolo dell’ANPI, in tutte le realtà, non è solo quello di sensibilizzare le nuove generazioni, o custodire e valorizzare l’immenso valore della Costituzione più bella del mondo, ma è anche quello di rendere attuali i suoi insegnamenti, impedendo i reiterati tentativi di revisionismo storico, tesi a mettere sullo stesso livello la lotta partigiana e il collaborazionismo nazifascista. Nella nostra città l’ANPI deve svolgere un ruolo di formazione anche nelle scuole e tra i giovani,s piegando che i principi costituzionali della libertà , dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, sono valori universali da cui non si deve mai prescindere. In questi giorni, nel Parlamento italiano, è in discussione la proposta di modifica dell’art. 138 della Carta Costituzionale, che è il caposaldo delle eventuali modifiche alla Carta stessa. I l’ANPI, come molti giuristi e costituzionalisti, è nettamente contraria a questa manovra parlamentare, ritenendo che le modifiche costituzionale debbano avvenire sempre e comunque nel pieno rispetto dell’articolo 138 così come è stato concepito dai Padri Costituenti. L’ANPI ritiene inoltre, che battersi per la libertà e la difesa della Costituzione non è un esercizio di retorica politica, ma è una necessità culturale allo scopo di dare valore alla Democrazia costantemente minacciata nelle sue fondamenta. L’ANPI di Massafra, quindi, intende avviare le procedure amministrative per aderire alla locale Consulta delle Associazioni e partecipare così alla vita culturale e istituzionale della nostra città. A questa associazione possono aderire tutti i cittadini ( uomini, donne, giovani,pensionati) che sentono forte il senso dell’antifascismo, nel ricordo dei partigiani italiani, che si sono battuti per garantirci libertà e democrazia. Piero Calamandrei, padre costituente, scrisse che era giunta l’ora di resistere: era giunta l’ora di essere uomini, di morire da uomini per vivere da uomini. Il tesseramento è già in corso; in seguito si stabilirà una data per il congresso cittadino, per la elezione del comitato direttivo e degli organi dirigenziali, in attesa di una sede nella quale poter dare avvio alle conseguenti attività.
Pasquale Lasigna socio ANPI n° cell. 329 2127735
“Eravamo a Gaggio e sentimmo Badoglio alla radio. Cominciò così, per tutti quei giovani che l’8 settembre fecero i conti col vuoto di potere e l’incertezza del destino. Francesco Berti Arnoaldi Veli, 18 anni, era liceale al Galvani… Mai generazione fu messa di fronte a scelte come quella… Il 24 giugno salii alla chiesetta di Ronchidoso. Lì, una sorta di foresteria, presto mi raggiunsero una trentina di compagni di liceo… Più tardi giunse il capitano Pietro Pandiani, un ufficiale che aveva combattuto a Tobruk”. Trenta ragazzi e un capitano: sembra l’immagine della Resistenza. “C’era un bel clima da stato nascente, il capitano era deciso, determinato. Formammo la brigata Giustizia e Libertà della Montagna, l’unica del bolognese” …
Roberto Nistri
Un’originale interpretazione collocata sia nello scenario nazionale sia in quello internazionale, si ritrova nell’ultimo libro di Giovanni Orsina “Il berlusconismo nella storia d’Italia” (Marsilio editore).
In estrema sintesi, il ragionamento di Orsina è il seguente. Sin dall’Unità nazionale del 1861, l’Italia ha dovuto misurarsi con il problema della divisione tra Paese legale e Paese reale, a causa della scarsa fiducia reciproca tra governanti e governati:i primi, considerando la società italiana arretrata e frenata da chiusure localistiche, corporative, familistiche; i secondi, nutrendo diffidenza e avversione verso lo Stato, la politica, la burocrazia pubblica. A questa separazione-incomprensione, le classi dirigenti hanno cercato di sopperire con un approccio, che Orsina definisce ortopedico e pedagogico: ortopedico, perché occorreva “raddrizzare” ciò che era storto; pedagogico, perché occorreva “rieducare” ciò che era sbagliato. Pur con le inevitabili differenze, l’approccio ortopedico e pedagogico ha accomunato la classe dirigente liberale, fascista e quella repubblicana, senza tuttavia incidere più di tanto sul divario tra Paese reale e Paese legale. Questo non significa che non ci siano state stagioni positive, come, ad esempio, l’età giolittiana o la prima fase della vicenda repubblicana.
Come si inserisce il movimento berlusconiano in questo percorso storico? Esso rappresenta una evidente rottura con l’approccio precedente, dal momento che, sin dalla “discesa in campo”, Berlusconi afferma che la società civile italiana non ha bisogno di essere né raddrizzata né rieducata, che va bene così com’è; che, semmai, è la politica ad avere responsabilità per la scarsa fiducia verso di essa. Berlusconi, quindi, coltiva abilmente l’antipolitica, l’ipopolitica, il rifiuto della politica dei partiti e dell’antifascismo; interpreta l’aspirazione ad uno stato leggero e non intrusivo.
Questa impostazione, da un lato entrava in sintonia con un clima generale dell’epoca, dominata dal neoliberismo della Thatcher e di Reagan; dall’altro, faceva leva sui sentimenti profondi della destra italiana: l’Uomo Qualunque di Giannini, il più diretto precursore del berlusconismo, o quella destra che in precedenza votava a malincuore per la DC, magari turandosi il naso, come suggeriva Indro Montanelli. Berlusconi così riscattava la destra italiana dalla minorità in cui era stata relegata nella prima stagione repubblicana; ne assecondava le pulsioni, non pretendeva di correggere i difetti degli italiani, che venivano accettati come erano. In tal modo, prendeva forma un impasto di liberalismo e di populismo, in cui però il primo elemento perdeva progressivamente di peso, a favore del secondo. Il ruolo personale di Berlusconi ha sempre prevalso sul partito in quanto tale, che continua ad essere un partito personale, patrimoniale, carismatico; assolutamente irriducibile ai modelli della destra europea.
Per esaminare la parabola del berlusconismo, occorre ora soffermarsi sulla dialettica Platone- Popper, che Orsina richiama all’inizio della sua analisi. Se Platone si era posto il tema di chi dovesse governare, Popper ritiene che la domanda giusta sia un’altra: come organizzare le istituzioni in modo che i cattivi governanti non facciano troppi danni e possano essere sostituiti in modo pacifico. Nella politica italiana, tuttavia, la domanda platonica ha prevalso di gran lunga sulla domanda popperiana. In altre parole, si è sostenuto che la propria elite fosse assolutamente in grado di governare bene, meglio dell’elite precedente, senza preoccuparsi adeguatamente di riformare lo Stato per accrescere funzionalità e partecipazione democratica. La parabola berlusconiana parte dalla dichiarazione di voler riformare profondamente lo Stato secondo un approccio liberale: stato leggero, riduzione dei parlamentari, abolizione delle province, riduzione delle tasse e della spesa pubblica. Al tramonto della stagione berlusconiana, il bilancio appare fallimentare; nessuno di tali obiettivi è stato raggiunto e il berlusconismo ha ripiegato sulla mera occupazione del potere.
Con le elezioni dello scorso febbraio, anche un lascito positivo del berlusconismo (in comune con il centro-sinistra) e cioè la democrazia bipolare pare andato disperso. La netta affermazione del Movimento 5 stelle disegna un assetto tripolare, difficilmente superabile nel breve periodo. Il grillismo, come il berlusconismo delle origini, nasce come forte reazione alla politica esistente, ma approda a conclusioni opposte : la democrazia diretta attraverso la rete. Un esito difficilmente prevedibile, che nell’immediato esclude il Movimento 5 stelle da ogni rapporto con le altre forze politiche.
Un aspetto non sufficientemente approfondito, a mio parere, è la questione delle vicende giudiziarie di Berlusconi e di come sia stato possibile manipolare la legislazione italiana con le norme “ad personam”, adottare modelli di comportamento tanto biasimati all’estero quanto accettati in Italia. Ciò non toglie nulla all’interpretazione acuta e originale, largamente condivisibile, del lavoro di Orsina. Giovanni Battafarano
A settant’anni dall’8 settembre 1943
L’8 settembre è una data simbolo, con un duplice significato. Anzitutto, in senso negativo, richiama il crollo dello Stato, con la fuga precipitosa del Re e lo sbandamento dell’Esercito. L’assenza di direttive e la debolezza del Governo Badoglio permisero alle truppe tedesche di occupare agevolmente gran parte del territorio nazionale e di procedere all’arresto o al disarmo dei militari italiani che si rifiutarono di continuare a combattere al fianco dei nazisti.
L’8 settembre, tuttavia, ha anche un risvolto positivo giacché rappresenta l’inizio della Resistenza italiana, che permise al nostro popolo di riscattarsi da vent’anni di dittatura e da una guerra d’aggressione. I militari della Divisione Acqui resistettero eroicamente a Cefalonia; a Napoli, militari e popolo cacciarono i tedeschi nelle Quattro Giornate; in tanta parte dell’Italia, si costituirono le prime brigate partigiane, che via via contrastarono con sempre maggior vigore le truppe naziste e repubblichine.
A Taranto, l’8 settembre fu vissuto in modo diverso dal resto d’Italia: non fu sparato un colpo. I tedeschi non fecero in tempo a minare il canale navigabile e, in serata, ottennero il permesso dalle autorità italiane di lasciare il porto e la città . Uno scontro si ebbe invece a Castellaneta, che costò la vita a venticinque persone.
Ragionare sulle vicende di settant’anni fa non è solo una pur doverosa opera di memoria, specie nei confronti di chi è caduto in quei giorni, ma serve anche a rimarcare che la nostra democrazia repubblicana trae la sua legittimità storica dalla Resistenza.
L’ANPI Taranto ha promosso la ricerca “Taranto democratica”, con contributi di Smuraglia, Anzoino, Nistri, Stea e del sottoscritto, al fine di far conoscere alle giovani generazioni attraverso quali vicende, la nostra città è passata dalla dittatura alla Repubblica. Nei momenti di crisi, richiamarsi alle radici della nostra democrazia è il modo migliore per individuare la strada giusta.
Giovanni Battafarano Presidente ANPI Taranto
Sabato 15 giugno 2013, ore 19.00 Presso Associazione Culturale “L’Impronta” Via D’Aquino, 13 – Taranto Presentazione del libro “TARANTO DEMOCRATICA dalla dittatura alla Repubblica (1943-1946)” Saluto ARTURO CAMERINO Introduzione ADALGISA VILLANI Interventi MARCELLO BUCCOLIERI LUCIANA DE CIRO GIULIANA TAGLIALATELA FRISENDA Saranno presenti gli Autori GIOVANNI BATTAFARANO ROBERTO NISTRI PINUCCIO STEA I cittadini sono invitati
Una delibera della Giunta comunale del 15 settembre 1945 proponeva di intestare una piazza della città ai partigiani tarantini caduti per la libertà. Con scarso rispetto per la toponomastica, piazza Ebalia (il toponimo derivava dal mitico fondatore della città, nominata appunto Ebalia) veniva ribattezzata “Piazza Martiri Partigiani”. In essa piazza si doveva apporre una lapide “con incisi i nomi di tutti i caduti per la nobile causa”. Alfredo Anzoino ha chiarito come l’elenco dei nominativi fosse estremamente lacunoso ; cfr. I caduti tarantini nella Resistenza, in Taranto Democratica , a cura di Giovanni Battafarano, Scorpione, 2013. Il nome di Giuseppe Ballanti veniva aggiunto in extremis e sul nome di Cosimo Perrone rimanevano perplessità. La lapide ormai riposava in piazza Ebalia (che intanto aveva recuperato il toponimo originario) fino a quando non venne rimossa dal muro sul quale era affissa, a causa di una demolizione. Il toponimo “Martiri Partigiani” sarebbe ritornato in auge diversi anni dopo per una villetta, pur soffrendo per varie controversie. Intanto la lapide dei partigiani era stata conservata nel Municipio e doveva essere esposta soltanto nel maggio 1964, a cura dell’amministrazione Conte, democristiano. Purtroppo aveva buon gioco il giornalista Antonio Rizzo nel farsi beffe di una lapide sgangherata, apposta in una “Ebalica piazza”, che invece era “Piazza Municipio”.
Si dice nell’epigrafe: “ Questa ebalica piazza la Patria il Popolo consacrò (sic!) ai suoi Martiri Partigiani”… Donde la fallace impressione che “Piazza Municipio” dovesse prendere il nome di Piazza Martiri Partigiani”. Rimanendo in Piazza Municipio si pensò di sopprimere con una pecetta l’imbarazzante aggettivo “ebalico” (cfr. “Voce del Popolo”, 23 maggio 1964).
Roberto Nistri – 18 maggio 2013
Celebriamo la Festa di Liberazione nel Settantesimo della Resistenza. Ricordiamo i partigiani, che con il loro coraggio e la scelta compiuta hanno riscattato l’onore patriottico. Tra questi partigiani, ricordiamo i tarantini Pietro Pandiani, comandante di Giustizia e Libertà in Emilia, rievocato con accenti commossi da Enzo Biagi; Osvaldo Simonetti, per lunghi anni presidente ANPI Taranto. Ricordiamo i militari che si rifiutarono di piegarsi alla Repubblica di Salò e all’occupazione tedesca, tra i quali il ten.col. Ugo De Carolis, caduto alle Fosse Ardeatine, a cui Taranto ha dedicato una scuola, una strada, la caserma dei carabinieri; le staffette partigiane, da Nilde Iotti a Tina Anselmi, alla nostra Adele Ficarelli; i contadini, che hanno aiutato i partigiani; i sacerdoti cattolici, che hanno salvato tanti ebrei dai campi di sterminio.
Dalla Resistenza, sono nate la Costituzione, la più bella del mondo, e la Repubblica, ma oggi gli italiani sono inquieti per la grave crisi economica, il crollo dell’occupazione, la scarsa credibilità della politica. Sono inaccettabili le varie manifestazioni nostalgiche del fascismo o addirittura del nazismo, come, da ultimo, la celebrazione dell’anniversario della nascita di Hitler, a Varese. E’ importante che il Presidente della Regione Lazio Zingaretti abbia revocato un finanziamento precedente per l’erezione di un monumento ad Affile dedicato a Rodolfo Graziani, condannato da un tribunale italiano come criminale di guerra. Di grande significato la presenza di Napolitano ieri alle Fosse Ardeatine, di Laura Boldrini a Milano e di Pietro Grasso a Marzabotto. Tuttavia i rischi di populismo e di disaffezione dalla politica rimangono alti. L’ANPI Taranto continuerà la sua azione in particolare verso i giovani e la scuola, affinché i valori della Costituzione democratica e antifascista siano sempre più alla base di ogni progetto di governo dell’Italia.