il militante comunitario

20 Dicembre 2014 Nessun commento »

Il militante comunitario è colui che ritiene di impiegare la propria vita nell’impegno sociale per offrire il proprio contributo al miglioramento della vita collettiva. Può farlo nella dimensione politica o in quella sociale, non è animato da progetti palingenetici; scarta la tentazione dell’uomo solo al comando e predilige il paziente gioco di squadra; non ama il potere, anche se talvolta ne è coinvolto; diventa un punto di riferimento per i suoi concittadini, che si fidano di lui, a prescindere dalle idee politiche, perché ne riconoscono il naturale disinteresse. Non sto disegnando il ritratto di un santo laico, ma di una persona “normale”, convinta che si cambia la realtà non con roboanti discorsi o programmi mirabolanti, ma con l’esempio, con l’attivismo nutrito di passione e competenza.

La categoria del militante comunitario viene utilizzata da Sergio Pargoletti per connotare la personalità di Franco Semeraro, dirigente storico della sinistra talsanese, amministratore comunale, presidente di Circoscrizione, presidente di ARCI Talsano, ma anzitutto “militante comunitario”(cfr. FRANCO SEMERARO SERGIO PARGOLETTI, Il militante e la borgata, Scorpione Editrice, Taranto 2014). Ho il piacere di essere amico di Franco Semeraro, con il quale ho condiviso l’esperienza della Giunta di Sinistra con Giuseppe Cannata e poi con il sottoscritto e posso confermare che la connotazione di militante comunitario mi pare del tutto indovinata. In realtà, se ripenso alla dimensione della politica degli anni Settanta-Ottanta, posso affermare che allora nella sinistra tarantina non erano pochi i militanti comunitari, veri leader  di quartiere o di borgata, fortemente immersi nel contatto con i ceti popolari e capaci di intuire problemi, le speranze come pure le critiche di quei cittadini e lavoratori che volevamo rappresentare. Questi militanti comunitari ai Tamburi, alla Salinella, a Paolo Sesto, a Talsano erano i nostri sondaggisti, coloro che intuivano se alle elezioni saremmo andati bene o male. Questi leader popolari non erano patrimonio esclusivo del PCI,  ma, con caratteristiche diverse, erano presenti anche negli altri partiti democratici, a partire dalla DC  e dal PSI.

Franco Semeraro è stato uno di questi militanti comunitari. Come assessore ai Servizi sociali, proseguendo il lavoro avviato da Giacomo Bonifazi, è stato protagonista di una stagione in cui la Giunta di sinistra avviò i programmi per gli anziani ( assistenza domiciliare, soggiorni di vacanza, attività di animazione), i cantieri di lavoro per i giovani disoccupati, e poi i consultori familiari, il CMAS, gli asili nido; sino alla costruzione di mille alloggi popolari a Tramontone e a Paolo Sesto. La politica manteneva allora un forte contatto con gli iscritti e i cittadini. Riunioni affollate e appassionate si svolgevano nelle sezioni di partito e nelle feste dell’Unità. Oggi, il confronto  utilizza molto la Rete e i Social Network. Ritengo che questi nuovi strumenti possano molto arricchire i rapporti politici, culturali, umani; non mi sfugge che spesso tuttavia sui Social network prevale l’ingiuria, la frase ad effetto piuttosto che l’approfondimento. In ogni caso, la Rete non può sostituire il contatto diretto, il guardarsi negli occhi, anche quando si muove una critica forte; la Rete non può sostituirsi al militante comunitario, che non è il semplice raccoglitore di tessere o di voti, ma colui che continua a battersi per i beni comuni, anche se non riveste più cariche pubbliche. Lasciato volontariamente il Consiglio comunale nel 1990, Semeraro è tornato ad occuparsi direttamente della sua borgata come presidente della Circoscrizione: a sostituire le lampadine fulminate, a vigilare sulla  qualità dei servizi pubblici, a dare impulso al varo del PIP di Talsano. E successivamente, come presidente di ARCI Talsano ad organizzare viaggi, serate culturali, gite in bicicletta, momenti di aggregazione, come un normale “militante comunitario”.

Giovanni Battafarano

ILVA, una strage di Stato di lunga durata, rea confessa a norma di legge

10 Dicembre 2014 Nessun commento »

Il sociologo Franco Cassano ha sigillato l’ultima pagina del 2012 con un titolo impegnativo: L’Ilvachiude un’epoca, così la Puglia diventa il crocevia del futuro. Ancora una volta, Taranto città importante, come tante altre volte è stata considerata: prima grande città industriale nel Sud già alla fine dell’Ottocento, protagonista nella navalmeccanica fra la prima e la seconda guerra mondiale, città proletaria e antifascista, con l’orgoglio di arsenalotti, cantierini e siderurgici; tante piume identitarie strappate una ad una da una Storia vendicativa, che ha consegnato ai media e all’immaginario europeo la superstite e triste icona di “città criminale”. Ricorrente è stato il ritornello di una Taranto “osservatorio privilegiato”. Nel 2007 lo scrittore Christian Raimo considerava di grande interesse la città ebalica (con le parabole di Cito e dell’ ILVA, il suo buco di bilancio comunale mostruoso, i suoi record di diossina, il suo mare guasto) “perché dell’Italia è forse l’osservatorio privilegiato, il paradigma sociale e antropologico utile a capire anche ciò che accade nel resto della penisola”.

Tutto giusto, ma comprensibilmente l’homo jonicus farebbe volentieri a meno di siffatti riconoscimenti: ormai tutti sanno che nei paraggi degli “osservatori privilegiati” si mena vita assai grama, e qualche volta si muore. Lo sanno anche i grandi protagonisti della politica che, durante la campagna elettorale del 2013, hanno schivato con cura la palla avvelenata della città che chiude un’epoca: sembra che, come in un vecchio film di fantascienza, non la “collina delle polveri venefiche”, ma la città stessa sia stata coperchiata e impermeabilizzata. La storia, come nella canzone di Guccini, ci ha raccontato come finì la corsa. La siderurgica locomotiva del progresso si è infilata in un buco nero, trascinando con sé apologeti e trombettieri del re, sindacalisti e giornalisti collusi, faccendieri e amministratori su libro paga e una moltitudine di poveri cristi: doppiamente colpevoli – direbbe Brecht – perché vittime e perché innocenti.

Anche Pasolini, grande innamorato della città dei due mari, avrebbe detto la sua sui “malvagi dormienti” che seguono la corrente, sulla colpevolezza dell’innocenza, sulla volontà di non sapere. “Meno si sa, meglio si sta”. Ma già nel 1985 il giornalista Sandro Viola parlava di una “città vinta”. Dopo gli ultimi bagliori di cittadinanza attiva negli anni ’70, la Taranto “capitale dell’acciaio”, incredula di fronte al declino dell’Italsider, perdeva la vigilanza sugli effetti perversi della crisi, smarriva gli indici valoriali di una cultura del lavoro che avrebbe dovuto ormai misurarsi col turbocapitalismo della globalizzazione in atto.

Una comunità da sempre in appalto, ben assuefatta alla “servitù volontaria” , rispetto alla grande monocultura -“ Zitto e mangia” – si trovava ormai sguarnita di fronte a un crescente deficit di democrazia e al dilagare di una economia criminale emergente dalla giungla degli appalti selvaggi. Nella guerra per bande, si coniugavano buone entrature negli ambulacri del potere politico-economico e un feroce controllo del territorio, che doveva lasciare una scia di 160 morti ammazzati. Era l’ora siderale dei cavalieri di sventura e degli stregoni: da Cito, il mazziere nero tangentista e carcerato, “trombone in fiera e Gran Tamburone del Nulla” (Gadda) , alla sindachessa berlusconiana che amministrava il saccheggio del Municipio. Pensiamo ad una poesia del cittadino onorario di Taranto, Giuseppe Ungaretti: Allegria di naufragi.

A trovarsi a proprio agio era patròn Riva, che nel 1995 aveva acquistato a prezzi stracciati l’acciaieria ribattezzata ILVA. Ormai per la città ebalica si stava perfezionando l’ultima icona identitaria: la città più indebitata d’Italia e la più inquinata d’Europa. “E’ arrivato il dissesto e non abbiamo nulla da metterci”.

L’ Italsider era nata senza regole, fra licenze in bianco e licenze in precario. Per il nuovo padrone della ferriera valeva una sola regola: nessuna regola. Spremere il profitto ed esternalizzare il veleno sulla città ridotta a contenitore di rifiuti: un cronico mix di cadmio, berillio, arsenico, mercurio, nichel, diossina, benzo(a)pirene e via cantando: “da’ padroni di molta buona limosina e chiodi novi da crucifigger la Città” (Gadda). Chi era disubbidiente finiva nella camera della tortura, la famigerata Palazzina Laf, per la quale Riva veniva condannato per mobbing a due anni e otto mesi: una grande vittoria giudiziaria, ma una non bella figura sindacale per la mancata mobilitazione operaia sul fronte della dignità del lavoro. Il gioco di Riva era quello di “confinare i lavoratori più rispettati per dimostrare che la proprietà era nelle condizioni di liberarsi di chiunque” , come ha scritto uno degli “indesiderabili”, Claudio Virtù.

I sindacalisti tarantini avevano dimenticato il classico motto degli IWW statunitensi: “ An injury to one is an injury to all”. Un torto fatto a uno di noi è un torto per tutti. I comandamenti della dignità costituiscono l’essenza dell’individuo e del suo lavoro. Dignità è non piegare strumentalmente l’altro ai propri obiettivi. La dignità non è monetizzabile, non ha prezzo, non è negoziabile. E’ self respect, onore verso se stessi.

La storia ha fatto il suo corso. Riva ha tirato troppo la corda ed è finito agli arresti, con gli impianti sotto sequestro. When the shit hit the fan, dicono gli inglesi: quando gli escrementi finiscono nel ventilatore… Per i tarantini continua l’eterna corsa del criceto, in una sorta di “presente remoto”. La proposta di Riva è sempre stata chiara: “inquino o chiudo”. Il tesoretto è stato messo al riparo in terre lontane mentre a Taranto la polluzione continua. Ai tempi della vecchia Italsider si usava la metafora della grande mammella da cui succhiare un perpetuo benessere, oggi risuona il tormentone: “Non si può costringere i lavoratori a scegliere se morire di fame o di inquinamento” (l’esito più probabile è quello di morire affamati e avvelenati).

Nel 1967 Egisto Corradi proponeva l’immagine di una gigantesca meteorite piombata nella piana degli ulivi. Oggi risulta più attuale l’astronave di Alien: la metafora della grande mammella da cui suggere prosperità ha ceduto il passo ad un biomeccanico parassita che cresce nel corpo della vittima fino a che gli esplode dal petto. Il cancro si è attaccato alle budella, alle viscere della città, ad un corpo vivente che lo ospiti, che gli faccia da madre. Per il finale potremmo rievocare la scena di un cucciolo di Alien che esce dalla pancia di John Hurt: rutta, sputa e se ne va. Questo sembra essere per Riva il ciclo della family: abbandonare l’equipaggio dissanguato, non pagare dazio e ripartire con un’altra astronave.

I tarantini rimangono custodi di un Pil transnazionale dai contorni ineffabili e ostaggi di una politica industriale che lo Stato rivendica in proprio, in nome dei potenti finanziamenti erogati in un cinquantennio, pur versando lacrime di coccodrillo sulla vergognosa trascuratezza della salute dei tarantini rimasti al palo: da una parte uno sgangherato piano “salva Ilva” e dall’altra nessun piano “salva Taranto”, bensì fumosi progetti di bonifica di suoli, sottosuoli, falde acquifere, fondali marini, gallerie sotterranee che, sotto le scuole del quartiere Tamburi, portano all’ ILVA le acque di raffreddamento. Allo stato dell’arte “prescrivere ricette per l’osteria dell’avvenire” (Marx) partorisce solo volatili chimere che sbattono agli angoli dei Ministeri, come smarriti uccelli notturni. Le abbiamo provate tutte e “ci chiediamo/ se quel posto dove andiamo / non ci inghiotta e non torniamo più” (Paolo Conte).

Diciamola tutta: un crimine industriale ha fatto esplodere una catastrofe ambientale che storicamente si presenta come una catastrofe cronica, risalente addirittura all’era preitalsiderina. In fondo sappiamo l’avvenire a memoria. “Catastrofe” è parola greca che indica un “rivolgimento”, per conseguenza del quale tutto radicalmente muta solo per fare ritorno ad un punto di partenza, in uno spazio immarcescibilmente immutabile, che consente il perpetuo ripetersi dei mutamenti marcescibili. Il futuro prossimo della città jonica è affidato alla Magistratura e alla Corte costituzionale. Vale sempre l’ammonizione di Brecht: “E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare”. Ma tocca pur sempre alla testa la prima mossa. Per il momento a Taranto è ancora in atto una autentica Strage di Stato di lunga durata, paradossalmente rea confessa e a norma di legge. Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare…

Bando di concorso premio di studio Osvaldo Simonetti

19 Novembre 2014 Nessun commento »

In memoria di Osvaldo Simonetti, a testimonianza del suo valore umano, politico e culturale, l’A.N.P.I di Taranto bandisce un concorso per l’assegnazione di un premio di studio, indirizzato agli studenti universitari e delle scuole medie superiori.

Osvaldo Simonetti, combattente partigiano, è stato il Presidente dell’ANPI di Taranto per molti anni, nonché apprezzato docente.

In modo particolare ha dedicato tempo e risorse per la crescita della conoscenza, soprattutto tra i giovani, della storia italiana legata alla Resistenza ed alla Liberazione.

L’ANPI di Taranto ha inteso onorare la memoria di Osvaldo Simonetti promuovendo l’istituzione di un apposito “Fondo” a lui dedicato presso l’Archivio Storico del Comune di Taranto. “Fondo” che contiene documenti e libri sull’Antifascismo a Taranto dal 1922 al 1946.

L’ANPI di Taranto promuovendo un premio che favorisca la conoscenza delle vicende e dei protagonisti dell’ Antifascismo nella provincia di Taranto, vuol contribuire al rafforzamento delle istituzioni democratiche e repubblicane del nostro Paese.

Qui è possibile scaricare il bando completo in PDF

Sul Jobs Act

18 Novembre 2014 Nessun commento »

Considero l’Accordo sul Jobs Act un buon passo in avanti. Si prevede la reintegra anche in caso di licenziamento illegittimo per motivi disciplinari; si stanziano risorse aggiuntive per gli ammortizzatori sociali; si definisce l’elenco dei contratti precarizzanti da sfoltire; si stabilisce che i controlli a distanza riguardano gli impianti, non i lavoratori; si chiarisce che l’eventuale demansionamento deve salvaguardare il livello retributivo del lavoratore; si ribadisce che i voucher  devono riguardare attività limitate, senza entrare in concorrenza con il contratto stabile.

Qualcuno può legittimamente sostenere che non basta; che il Governo avrebbe fatto meglio a non toccare l’art. 18. Personalmente sono d’accordo con queste affermazioni. Tuttavia, nel momento in cui il Governo ha presentato il Jobs Act in Parlamento, che cosa bisognava fare: tentare di migliorare il testo e ridurre il danno o limitarsi a denunziare a voce alta la manomissione, per non sporcarsi le mani e salvare la purezza dell’anima?

Per il resto, ciascuno fa il suo mestiere. La CGIL  ha il diritto di indire lo sciopero del 5 dicembre, al quale bisogna guardare con rispetto, evitando i toni di sufficienza usati da taluni (pochi per la verità) esponenti del PD.  In Parlamento si lavora per migliorare i testi. Che le modifiche non siano secondarie, è testimoniato dalla reazione di contrarietà dell’NCD, poi in parte rientrata. Naturalmente, occorrerà verificare i decreti delegati e, ancor di più, promuovere una ripresa dell’economia, che ancora non si vede. Su questo aspetto, occorre che il Governo e l’Unione europea realmente “cambino verso”.

 Giovanni Battafarano  Segretario Generale Associazione Lavoro&Welfare

Il lavoro italiano nella letteratura tedesca

13 Novembre 2014 Nessun commento »

Scrittori contro

13 Novembre 2014 Nessun commento »

Un articolo di Lucio Villari

13 Novembre 2014 Nessun commento »

Su “la Repubblica” del 10 novembre 2014, il grande storico Lucio Villari ha dato molto rilievo all’enciclica del 1921, nella quale Benedetto XV riabilitava il poema dantesco, accogliendo il rifiuto del poeta rispetto ai tanti poteri fraudolenti della Chiesa, temporale e non. Nello stesso articolo il Villari elogiava un pontefice di grande intelligenza politica: aveva denunciato la “inutile strage” della Prima guerra mondiale. Purtroppo Giovanni Della Chiesa, il Papa crucco, come lo chiamavano i francesi, fermo sostenitore degli imperi centrali, aveva ridotto la corte papalina ad un quartier generale di spioni germanici come come il Barone Stockhammern, che poteva entrare anche di notte nei corridoi vaticani e la superspia Rudolf Gerlach, il suo cameriere segreto. Ambedue potevano trasportare documenti riservati, usando la valigia diplomatica, immuni da qualunque tipo di controllo. Fra le molte imprese di questi due personaggi, vanno ricordati i due grandi sabotaggi, della “Benedetto Brin “a Brindisi (oltre quattrocento vittime) e della Leonardo da Vinci a Taranto (un numero incalcolabile). “la inutile strage”  e il dovizioso foraggiamento germanico alle casse vaticane durante tutta la guerra attraverso le banche svizzere. Speriamo di non risentire ancora la vecchia canzone del crucco pacifista.

Su questi temi, nel sito dell’Anpi Taranto, nel nostro testo “Taranto durante la grande guerra”, abbiamo sufficientemente argomentato.
Roberto Nistri, 10 novembre 2014.

Taranto nella grande guerra

4 Novembre 2014 Nessun commento »

di Roberto Nistri

1. Sul palcoscenico della Grande Storia

 

Taranto assisteva, arrendevole e compiaciuta, alla progressiva militarizzazione della sua economia e del suo territorio, come ha scritto Matteo Pizzigallo. La macroscopica presenza dell’insediamento industriale continuava a modificare le coste, le altimetrie del suolo, fagocitando al suo interno masserie, chiese e ville signorili, condizionando il disegno della città e le direttrici della sua impetuosa crescita. Taranto subiva una espansione demografica tra le più imponenti d’Italia, con flussi provenienti dalle aree rurali e importazioni di manodopera specializzata (cfr. (Giuliano Lapesa, Taranto dall’Unità al 1940). La struttura industriale della città veniva ad essere cospicuamente amplificata, nel periodo immediatamente precedente l’entrata in guerra, dalla installazione dei Cantieri Navali “Franco Tosi”,  sulla spiaggia a nord del Mar Piccolo:  una società di Legnano con  strutture di ben altro rilievo rispetto ai modesti  cantieri Frontini  (1903 – 1906) e   Salerni (1906 – 1915).  I tempi erano acceleratissimi: mentre il cantiere si stava ancora approntando,  venivano già stipulati i contratti per le prime ordinazioni della Marina italiana. Si trattava di due sommergibili da 277 tonn. e dieci dragamine da 200 tonn. Nel 1915 veniva completato il primo sommergibile. Continua a leggere: Taranto nella grande guerra

Guasto è il mondo di Tony Yudt

4 Novembre 2014 Nessun commento »

 

Recensione di Giovanni Battafarano

Se coloro che, a vario titolo e vario livello, si occupano di politica leggeranno il libro di Tony Judt e, naturalmente, cercheranno di tenerne conto nell’attività pratica, la politica, oggi in grav

e deficit di crediblità, potrà cominciare una lenta risalita.
Il titolo del libro ( Editori Laterza, 2010) prende spunto dai versi dello scrittore irlandese settecentesco Oliver Goldsmith : ” Guasto è il mondo, preda di mali che si susseguono, dove la ricchezza si accumula e gli uomini vanno in rovina”. Tony Judt, di origini ebraiche, inglese di nascita, americano di adozione, è stato un influente storico e politologo di orientameno socialdemocratico, morto di SLA nell’ agosto del 2010.
Guasto appare il mondo a Judt, e naturalmente a tanti altri, a conclusione della trentennale stagione neo- liberista avviata alla fine degli anni Settanta e sfociata nella crisi globale del 2008, nella quale tuttora ci troviamo impigliati.

” In America, in Gran Bretagna e in una manciata di altri paesi, le fortune private non nascono più dalla produzione di beni e servizi ma dalle transazioni finanziarie, con effetti distorsivi sul valore che attribuiamo ai diversi tipi di attività economica. I ricchi , come i poveri, ci sono sempre stati. Ma rispetto al resto della popolazione oggi sono più ricchi e più numerosi di qualsiasi altra epoca di cui si abbia memoria. Il privilegio privato è facile da capire e da descrivere. Più complicato è spiegare l’ enormità dello squallore pubblico in cui siamo precipitati” ( p.10 ). Continua a leggere: Guasto è il mondo di Tony Yudt

Dialoghi sul lavoro

3 Novembre 2014 Nessun commento »